Chi cerca trova. E a volte anche no!
Il grande inganno dei falsi desideri
Questo fine settimana, a Padova, ho partecipato a un seminario sui differenti livelli di meditazione, tenuto da un essere davvero illuminato: Gheshe(*) Tenzin Tenphel, lama residente all’istituto Lama Tzong Khapa di Pomaia (in Toscana).
Negli insegnamenti di questo lama, oltre alla sapienza, si può scorgere abbondantemente la saggezza di chi pratica e non si limita a parlare. Chi pratica le vie della gioia è di facile individuazione: si tratta di persone che non solo vivono lo stato dell’essere della felicità, ma sono anche in grado di spiegarlo al prossimo.
In questo scritto spero di rivelarti, viandante, concetti importanti per il raggiungimento della reale felicità. Ho cercato di riassumere, certo con il mio filtro, tutto ciò di cui mi sono accorta in questo week-end, mosso dall’incontro con il lama.
Accade all’uomo moderno di adottare delle pratiche orientali solo per moda, o per illusione di ottenere felicità. Così ci si ritrova felici solamente quando si medita, ma non nel quotidiano, o centrati solamente quando si è a un seminario spirituale. Si fatica infatti a portare nella vita di tutti i giorni tale stato di benessere.
La pratica interiore è abbastanza facile da fraintendere; si fraintendono gli intenti e i propositi. Si dovrebbe essere centrati sulla ricerca del benessere andando a sradicare le cause del mal-essere e del dis-agio (è interessante che in inglese “malattia” si dica proprio “disease”)… ma di fatto questo non accade, e ciò è dovuto a stati mentali di afflizione prodotti dall’ignoranza, come la percezione distorta della realtà. Sarà per questo necessario aumentare lo “stato del realismo”, come contrapposizione all’ignoranza stessa: questa è, secondo il lama, la via del sentiero interiore. Si ritiene per tanto di importanza fondamentale conoscere la realtà per il raggiungimento della felicità, sia quella momentanea, sia quella eterna.
Tutto ciò risulta disturbato dalle nostre aspettative. Elementi personali di insoddisfazione, infatti, ci fuorviano, facendoci rimanere in stati di felicità momentanea. Ne derivano desideri che ci soddisfano finché sono nuovi, ma che poi andranno a cadere nello spazio dell’abitudine… si finirà, così, per ritornare allo stesso stato di felicità che avevamo prima dell’evento con la sola eccezione che saremo, a questo punto, molto più frustrati.
Siamo vittima degli appagamenti momentanei. Dobbiamo diventare realisti! Le illusioni ci fanno rimanere in uno stadio di felicità precario, mantenendoci in questo modo in una continua ricerca, solo che cerchiamo in un luogo sbagliato, che non procurerà mai il vero appagamento. Finiamo a questo punto per riversare le nostre aspettative sul prossimo, come spesso accade in una nuova relazione sentimentale, strumentalizzando l’altro per ottenere felicità provvisoria.
È necessario abbandonare qualsiasi speranza di trovare appagamento dalla felicità procurata dai beni. È ovvia la natura di non appagamento che il mondo estemporaneo può offrire come piacere precario impermalente; tale dimensione può offrire solo questo. Chi medita per ottenere l’appagamento spirituale, rimane nella stessa via della momentanea soddisfazione materiale di chi non pratica.
È dunque necessario vedere le cose per quelle che sono e non avvalersi della felicità del mondo materiale; in questo modo ci si sgrava dall’ansia procurata da una falsa aspettativa. Questa è la via del vero sentiero spirituale, che ci rende liberi davvero poiché ci sgrava dallo stato cronico di non appagamento.
Attaccarsi alle persone, alle cose, al cibo, in una condizione nella quale le persone sono passeggere, le cose sono passeggere, il cibo è passeggero, non farà altro che alimentare lo stato di dis-agio, poiché le false aspettative avranno di nuovo sortito il loro effetto: non ci si potrà aspettare da queste la felicità! Il problema è che si pretende l’eternità laddove non ci può essere, come avere o non avere una persona accanto. Il punto è che noi ci affidiamo alle valutazioni della mente, ma lei non è realista. È la mente che continua maniacalmente a creare false aspettative, la mente appoggia infatti aspettative mal riposte.
Siamo fuorviati dalle cose, ma è una illusione. Il problema non è nelle cose che divengono, ma all’interno di noi.
La ricerca ha fine quando l’orientamento è rivolto verso l’interno di noi, non verso l’esterno, di modo da correggere ciò che di erroneo c’è nella mente. Il segreto sta nel vedere la realtà per quello che è, sollevare il velo della visione della mente che non vede e, quindi, non conosce la realtà.
Nella società moderna esiste un affannamento per aggrapparsi alla vita del corpo, eppure esso è la cosa più impermalente che possa esistere! Fa parte della natura stessa del corpo dell’uomo, che è nato al mondo delle cose che passano… e naturalmente un giorno a esso farà ritorno.
È sicuramente diverso investire sull’anima, che di fatto è immortale e non appartiene al regno delle forme né a quello della mente che, come si sa, “mente”.
Combattere con tutti i propri mezzi per avere un corpo sempre giovane, nonostante esso sia portato a “collassare”, sarà la causa di ulteriore sofferenza, poiché si desidera qualcosa che la realtà non può dare. Capire come la mentalità della persona dovrà essere radicalmente cambiata, comporterà la salute e la felicità delle stessa. La chiave rimane il cambiamento interiore, non esteriore; è svelare l’inganno che, per quanto ci si sforzi per cambiare le cose, non si avrà la possibilità di ottenere la vita eterna del corpo, qui, in questo mondo dove regna l’impermanenza.
Non vi è niente da cambiare nella natura delle cose, ma nei propri elementi di coscienza.
È il modo che va cambiato, nessuno pretende certo che si viva una esistenza da asceta; una persona equilibrata comprende i compromessi della vita, capisce cosa può ricavare da essa, ma non deborda, rimanendo con un relativo interesse verso le cose e le trappole del piacere.
Va ricercata l’unica cosa che crea il problema: le false aspettative riprodotte dalla mente e dai suoi falsi obbiettivi verso la precaria felicità . È nella diffusa maniera di vivere in uno stato di cronica insoddisfazione, esponendo in questo modo la persona in un deficit che si avvicina al disagio, che si dimezza in questo modo la possibilità di trovare ciò che si cerca. Si partecipa in questo modo a una buffa messa in scena, versione arte drammatica, in cui il ruolo ben riposto del “cronico lamento quotidiano di non appagamento” è presto messo in atto.
Risulta urgente acquisire conoscenza della priorità delle cose: ciò porterà a un ulteriore cambio di priorità, questa volta reali, quindi atte alla vera felicità. Accorgersi del reale bisogno, affinché la propria ricerca non rimanga nello stato dell’apparenza, è provvidenziale.
Ci sono vari tipi di felicità e di disagio, che dovrebbero essere riconosciuti cercando di ottenere sempre maggiore consapevolezza sul fatto che siamo noi stessi i responsabili dei nostri disagi. La nostra mente non è per ora equipaggiata per portarci a raggiungere la felicità, poiché è ostruita da difetti che incrementano gli stati di sofferenza. Il problema è che non siamo nell’onniscienza, intesa come uno stato di perfezione, non siamo quindi in grado di cogliere e di percepire tutto ciò che esiste, nel momento in cui esiste.
Cosa fa sì che la nostra mente non sia onnisciente?
La presenza di impronte lasciate dall’ignoranza. Esse vanno eliminate, in quanto ostruzioni all’onniscienza.
Qual è il metodo?
Per eliminare le impronte dell’ignoranza servirà un antidoto all’ignoranza, in una progressione graduale, eliminando quella più superficiale fino a quella più densa. Nel primo punto troviamo l’eliminazione dell’ignoranza definita “creatrice della supposizione errata”, dopodiché si procederà all’eliminazione delle impronte.
Si otterrà in questo modo una bonifica della mente.
L’elemento ignoranza lo possiamo trovare di due diversi tipi: l’ignoranza che fa intendere la realtà delle cose errata, chiamata ignoranza intellettualmente acquisita (io li chiamo i “lo so già!”), e l’ignoranza innata, cioè connaturata nell’uomo.
La situazione potrebbe a questo punto divenire scoraggiante… allora la domanda è: posso io riuscire a emanciparmi dal dis-agio dovuto dall’ignoranza?
La risposta sta nel “perché sì” e non nel “come”.
L’aspetto con il quale intercorre l’ignoranza è un oggetto fittizio, quindi presto o tardi si potrà vedere i frutti di questo errore effettivo nello svolgersi dei fatti. Una radicata abitudine nel percepire un oggetto che non c’è, allungherà solo i tempi. Si potrà allora vedere che l’ignoranza ha sostenuto, attraverso la mente, una forza cognitiva tossica che faceva percepire qualcosa che di fatto non c’era. Sarà a questo punto necessario esporre la mente alla realtà delle cose. È necessario sconfessare l’ignoranza attraverso l’accorgersi.
L’ignoranza è diffusa principalmente per abitudine, poiché siamo nell’atteggiamento dell’approssimazione come approccio ai fatti del quotidiano. Approssimazione nella visione di un film, che fa apparire le cose senza la nostra cosciente e consapevole attenzione e, quindi, come approfondita conferma del fatto, come reale realtà. Stimolando giorno dopo giorno un maggior spirito critico, si potrà intravvedere l’elemento di falsità così come lo si vede attraverso l’ignoranza, che viene occultata dal suo percepire i fatti in modo presunto. Nel momento in cui si riesce a fare questo, si aprirà una breccia in questa coltre, l’apparire della realtà ultima oscurerà invece l’ignoranza e apparirà la realtà, così com’è sempre stata. Si elimina proprio in questo modo ogni frammento di ignoranza.
Attraverso questa saggezza, si arriverà alle rovine del palazzo dell’ignoranza. A questo punto le sue orme saranno rimosse, osservandole attraverso la compassione e la determinazione a raggiungere una visone ultima.
Sapere che esiste una verità cognitiva e una falsità percettiva non sarà sufficiente senza la pratica. Sarebbe come conoscere senza sperimentare, saremmo sapienti ma non saggi. La sua applicazione è accorgersi costantemente della realtà celata sotto ogni cosa. Questa è la via dell’onniscienza.
Monia Zanon
(*) Gheshe Larampha: massimo titolo accademico nel corso di studi del buddhismo tibetano (necessari circa 25 anni di studio).
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