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Il due di Ottobre 2009 sono partita per la Germania dove sono andata a sperimentare un’avventura davvero significativa. Ho vissuto quattro giorni nel miracolo.

Sono partita da Padova con la mia famiglia, sei persone in una multipla (sembra il titolo di un film italiano!). Abbiamo prenotato su internet un volo economico partenza da Bergamo. Arrivati a Francoforte per metà mattina, abbiamo recuperato un altro gruppo di Italiani che con noi facevano il viaggio provenienti da altri comuni. Un’ora e mezza di strada o forse due e  siamo approdati  in un complesso degli anni settanta, all’interno di un bosco a Springen.

Da qui sono iniziati quattro giorni di curiosa meraviglia.
Ma chi ero andata ad incontrare così  lontano dal mio territorio d’azione?


Caro confidente, si tratta di un maestro, un avatar (reincarnazione divina), un santo, ma soprattutto un uomo!

Tutti noi siamo divini, l’unica differenza tra noi ed un guru, è che lui sa di esserlo, noi no!

Swami Vishwananda è mauriziano e abbraccia tutte le religioni. In cuor mio sapevo di non essere giunta al suo capezzale per conoscere lui ma per conoscere me.

La notte prima di partire i miei maestri in sogno mi dissero che questo era un viaggio speciale, che non ci sarebbe stato alcun capo gruppo, poiché ognuno di noi, in questo percorso, sarebbe venuto per portare a casa una matrice del suo proprio personale cammino. Un importante tassello si sarebbe così aggregato, risvegliato da quelle energie e dagli avvenimenti che in quel luogo si sarebbero mossi.

Entrata nella hall del monastero, fragranze di viola, rosa e qualche spezia a me sconosciuta mi hanno accolto. Mandala di ghiaino colorato decoravano il pavimento in prossimità del più grosso agglomerato di cristallo- fumé sul quale io abbia mai avuto la fortuna di posare gli occhi.

Alta regnava l’immagine di Babaji, un maestro che ogni tanto prende possesso di un corpo ma sempre consapevole di chi è in ogni sua reincarnazione; Swami Vishwananda ne è l’allievo.

Caro compagno di viaggio che mi leggi, spero tu possa permetterti di stupirti con me mentre ti racconto che, diversi giorni dopo, giurerei di aver visto quella stessa immagine del quadro strizzarmi l’occhio! Mi pietrificai dallo stupore e ancora adesso mentre ti scrivo, ondate calde di emozione mi pervadono il petto.

Ho fatto delle foto che sono risultate decisamente singolari, con grossi cumuli di energia che ci osservavano fin dal nostro arrivo.

MAESTRO BABAJ

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SWAMI VISHWANANDA

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INGRESSO DEL MONASTERO CON MANDALA E ORBS A DESTRA (COSCIENZE SFERICHE)

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Ci dissero che il Guruji (Swami) era in Portogallo e che sarebbe rientrato in serata. Quindi procedemmo con lo schieramento libero del gruppo a curiosare nei templi e a sperimentarne l’energia.

PARTICOLARE NEL TEMPIO DI BABAJI ; DA NOTARE IL GLOBO DI LUCE SUL PETTO DELLA STATUA.

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Così  tra cappelle con magnifiche icone e quadri bizantini con Madonna che piangeva lacrime di Amrita (ne avevo sentito parlare ma pensavo che questo famoso elisir degli dei fosse una leggenda), pieni di stupore e meraviglia, rapiti dall’uragano di emozioni non ci accorgemmo che il Swami era dietro di noi…

Con l’entusiasmo di un bambino che mostra i suoi giochi, il maestro Vishwananda ci disse che visto che eravamo italiani ci avrebbe fatto provare l’esperienza di contatto diretto con la sua collezione di reliquie di santi del nostro Paese. Guruji è nato lo stesso giorno di S.Antonio e gli è particolarmente affezionato.

Nonostante il freddo da giubbotto imbottito anche in ambienti chiusi, tutti seguimmo questo sant’uomo come i topi seguono il pifferaio magico!  Mi trovai a fare un’esperienza come non avrei potuto sperimentare da nessun’altra parte: in pochissimi istanti avevo tra le labbra (con un bacio) S.Francesco (o meglio ciò che ne restava), S.Antonio, la cintura di Maria e tantissime altre reliquie che Dio solo sa! C’era persino un guanto di padre Pio, donatogli da un fedele. Ogni tanto si racconta che qualche devoto al Swami porti in dono un’icona o una reliquia e a volte capita che il Guru la restituisca dicendo che non è autentica!

Sicuramente un incontro inaspettato! Ma non era questo quello che ero venuta a sperimentare! Il mio viaggio era dentro alla paura e alla paura di aver paura ma ancora non lo sapevo…

L’indomani ci incontrammo in una grande sala attrezzata per le prove canto. Il nostro gruppo infatti voleva fare omaggio al Swami con un canto di  S.Francesco durante un particolare rito d’iniziazione (Darshan) che si sarebbe svolto in serata.

Quella mattina c’era anche udienza ai devoti da parte del Guruji. Avevamo l’appuntamento alle 11.15 ed entrammo in due: io ed Enrico, mio compagno d’avventure. Era un appuntamento fissato da mesi ed io volevo chiedere al maestro come potevo proteggermi dalle energie pesanti. Una volta entrata mi si svuotò la mente e non sapevo più cosa domandare. Swami Vishwananda ci fece scendere dalle sedie che ci ospitavano e scivolammo a carponi all’altezza delle sue ginocchia. Mi tese la mano dopo averla fatta volteggiare in aria, e davanti ai miei occhi si materializzarono un paio di orecchini di ametista. Io chiesi al Swami se avessi dovuto indossarli sempre, lui sorrise e mi disse che li aveva regalati a me, ora io ne avrei fatto ciò che volevo.

La paura di perderli prese presto il sopravvento…

Continuavo a pensare che se avessi perso il dono di protezione dell’avatar sarei stata influenzabile. Ci pensavo continuamente come un tarlo fisso, come quando hai la gonna sporca e pensi che tutti se ne accorgano, che tutti guardino lì, in quel punto di non perfezione.

Continuavo a toccarmi l’orecchino destro.

Presto giunse la sera e i preparativi per l’iniziazione erano in allestimento. Ci avviammo verso il luogo dove si sarebbe svolto il Darshan, super avviluppati tra cappucci, sciarpe e strati e sovra strati di indumenti,  versione cipolla per combattere il freddo. Percorremmo una strada in mezzo ad un bosco che dal monastero arrivava nella cittadina. Lunghe file di umani verso l’elevazione della loro specie, come tante formiche dirette da magiche energie captate dalle loro piccole antenne.

Arrivammo alla struttura che accoglieva l’evento come fluttuando su nuvole. Sembrava cortissima quella distanza che divideva i due comprensori. Canti e suoni intonavano l’inizio dell’esperienza e presto fu chiaro che  non si trattava di una riunione qualsiasi. Quattro ore di canti e preghiere per arrivare in ginocchio davanti al Guruji e poter da lui essere toccati. Eppure volarono! In me non c’era stato mai un secondo di stanchezza. Non si trattava di una funzione religiosa, ma un’autentica rappresentazione del libero pensiero in adorazione a Dio che è tanti aspetti in un uno e ai quali perciò noi uomini abbiamo messo tanti nomi. Molti modi per chiamare la stessa cosa. Come se in un vasetto di confettura di ciliegia noi ci mettessimo diverse etichette all’esterno per riconoscerne il contenuto: ci sarà così chi lo chiamerà ciliegia, chi amarena, chi dirà: “marmellata di frutta”, chi confettura …e via così! Ma le cose sono solo ciò che sono, il resto ce lo mettiamo noi! La divinità senza nome comprende tutti i nomi, poiché ne è superiore. Li ingloba tutti ma non ne è nessuno, poiché essa ne è uguale e distinta. Pura manifestazione del senza nome!

Ecco che il satellite era in attesa, attirato dal mio bisogno-paura del momento: l’insegnamento era giunto a me come un boomerang torna a chi lo lancia. Mi toccai per l’ennesima volta l’orecchio destro ed in quel momento il timore era diventato reale, vero, vivo nella stringa dell’adesso. Si era materializzata la mia paura così naturalmente come sorge il sole ad un certo punto del mattino e tramonta ad un certo momento della sera. Il demone della paura aveva preso il sopravvento. Io stessa avevo aperto la porta al mio demone e gli avevo permesso di agire. È così che accade. Sempre. Ogni volta. Finché non ti accorgi e l’energia che evoca il demone-paura perde di suo potere. Ora ero in balia della potenzialità della possessione. Presto qualche energia pesante avrebbe preso possesso di qualche mia stanza che da troppo tempo non occupavo. Sarebbe accaduto così, naturalmente, come la digestione di un cibo o l’assunzione di una bevanda: allo stesso modo io avrei incarnato il mio demone. Lui avrebbe preso vita in me e sarebbe stato me. Alla domanda del : “Chi sta essendo adesso “ avrebbe risposto lui, il demone, ed  io sarei stata  fuori. Game -over!

Ego distorto caro lettore! Ma  bisogna accorgersi ed io non ero fuori dal programma- paura quindi non potevo vedere ne sentire la verità più autentica ma disgraziatamente solo quello che il mio software mi proponeva in quel momento.

Vivevo la mia traged ia personale appendendomi alle maniglie che mi erano date: in quel momento la mia stampella si chiamava Swami!

Così ecco che presto arrivò  anche il mio turno, speravo che lui si accorgesse, che il maestro vedesse che avevo perso l’orecchino e che magari mi potesse indicare dove l’avevo smarrito. Ecco era il mio momento: appoggiai maldestramente le ginocchia sul cuscinetto ai piedi del Swami, rimanendo ben attenta a non toccarlo mai. Non riuscivo a guardarlo negli occhi. Lui mi sollevò il viso ed ecco i suoi occhi neri erano davanti ai miei a costellare galassie e spazi di infinito silenzio. Attimi eterni che ad un certo punto finirono e mi ritrovai nelle stringhe del mondo di qua. Tornai al mio posto avendo cura di non girare le spalle all’avatar. Frastornata, pensavo. Finisce l’evento, io pensavo. Ricomincia il percorso verso la struttura che ci ospitava in mezzo al bosco e io pensavo. Sentivo i files nel mio cervello riordinarsi velocemente, prendere un diverso ordine di assestamento. Scendevano mattoncini di consapevolezza che lastricavano la mia coscienza di nuovi input.

Ad un certo punto ebbi chiara un’ immagine: si trattava di un ricordo lontano, di un fatto mai avvenuto nel mondo di qua. Ero a casa di Pierluigi Ighina, durante il periodo in cui era ancora possibile andarlo a trovare (si tratta di un grande inventore, un genio di altri tempi, un maestro, un uomo eccezionale che ha scoperto l’atomo magnetico e ha portato avanti importanti ricerche sul magnetismo. Purtroppo qualche anno fa è passato ad un’altra dimensione). L’immagine era chiara come cosa appena accaduta: così nel modo che aveva lui di rivelarti frammenti di verità senza parlare, ma con la trasmissione del pensiero, lui mi disse: “Monia, la croce. Mettiti con le braccia allargate e fai la croce. Senti la croce, sii la croce. La croce sei tu! La protezione sei tu! Nessuno ti può toccare se sei nella croce!”.

Arrivo nella hall del monastero con un mal di testa che devastava gran parte delle mie sinapsi neuronali e stringeva forte creando pressione agli occhi (mal di testa che poi mi riaccompagnò a Padova e durò per ben tre giorni e mezzo!).

Arrivo con la mia famiglia alla sala da pranzo, era mezzanotte e mezza, vedo la lunga fila per la cena. D’un tratto mi rendo conto di non avere fame e di desiderare solo il letto, il riposo. Questa iniziazione non mi aveva caricato, mi aveva portato in una strana conversione con me stessa. Anche nei giorni seguenti non ero in tendenza divergente, non parlavo quasi per nulla col mio gruppo, dormivo molto e cercavo di schivare ogni impegno di dialogo più denso di un “buongiorno!”.

Finalmente, a digiuno, imboccai il corridoio che dava sulle stanze da letto: entrai facendo scivolare le gambe una innanzi all’altra, scoordinate come se ognuna di esse viaggiasse per un suo proprio conto. Mi sedetti sul letto ed iniziai a spogliarmi: tolsi di dosso tutti quegli strati che mi avevano protetto dal freddo nel tragitto esterno e che mi avevano fatto tanto caldo durante i canti. Arrivai al body con collo lungo e aderente: lo sfilai via pensando che la protezione ero io e avrei indossato quell’unico orecchino che mi era rimasto semplicemente come un dono di una persona speciale, non come un suggello indispensabile che mi avrebbe garantito vittoria certa sulle forme pensiero pesanti e i demoni e chissà che altra immondizia eterica. Mi alzai in piedi, grata per quell’illuminazione ma stanca, tanto stanca; ed ecco lì davanti ai miei piedi saltellò qualcosa: subito mi arrivò il satellite-pensiero che disse: “ È l’orecchino!”. Difatti era l’orecchino!

Felice come quando ritrovai la cartella di scuola che un amica delle elementari aveva portato via con sé, me li stringo e dico: “Grazie! Grazie universo che me li hai restituiti anche se non ne ho più bisogno!”. Così, quella notte mi addormentai felice e distrutta, con il mal di testa devastante ma molto grata.

L’indomani a colazione raccontai a tutti di aver trovato l’orecchino, ma solo prima di partire rivelai a qualcuno dei miei compagni di viaggio ciò  che mi era stato dato di scoprire.

Ora ho voluto condividere con te questo viaggio, caro viandante. Un giorno sarà chiaro che potremmo imparare dal dolore e dagli sbagli altrui senza dover provare necessariamente su propria pelle l’evento-crescita. Un giorno useremo la comprensione, l’immaginazione e l’immedesimazione per superare i gradini della scala di Giacobbe (scala evolutiva). Un giorno, che non è oggi, non piangeremo che di felicità. Un giorno che non è oggi ma che voglio credere arriverà, capiremo che noi siamo lì, dov’è il nostro pensiero, dove noi appoggiamo la nostra attenzione. Un giorno ci accorgeremo che l’organo più importante che possediamo è la mente, e che dobbiamo far sì che essa sia nostra alleata e non nostra nemica. Un giorno saremo consapevoli che la mente non può essere brutta sporca e cattiva se è una creazione del divino lo è anche lei, ed è attraverso di lei che noi impariamo, ma soprattutto creiamo. Non ci sono energie che ci odiano, ma bensì è ciò in cui crediamo che materializza ciò che ci accade. Se ci manteniamo focalizzati sulla nostra paura essa ci divorerà prendendo forma in ogni nostro possibile destino immediato.

Quello che ho portato a casa da questo viaggio non ha prezzo, anche se erano cose che già sapevo e di cui avevo già parlato in conferenze e scritti. Ci sono caduta con tutte le scarpe! È dovuto servire l’amore dei miei amici ed un viaggio in una terra lontana con un maestro mauriziano a ricordarmelo! Quello che ho portato a casa di più prezioso non è stato un paio di orecchini di ametista comparsi dall’etere, ma la consapevolezza di aver ricordato qualcosa che già sapevo, ma che non mi sarebbe servito se non sperimentato. Un giorno non impareremo più così.  Beati quelli che crederanno anche senza aver visto (aver sperimentato) perché di loro è il regno dei cieli (la capacità di fare futuro).

Namasté  a tutti!!!

LUCI COMPARSE DOPO L’INIZIAZIONE IN SALA:

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DAL BAULE DI UNA MACCHINA (MOLTO CAPIENTE!) SCORCI DI GERMANIA:

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I FIORI DELL’AVATAR…

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LA LUNA CHE MI ASPETTAVA AL RITORNO IN ITALIA NEL PIAZZALE DI CASA MIA:

monia zanon

E TU? CHE NE PENSI? IO LA PROSSIMA ESTATE CI RITORNO!!!!!