Sono una anti-resilienza e ti racconterò perché.

Ti è mai capitato da piccolo, caro viandante, di far cadere un gioco che ti avevano regalato e dopo il primo momento di sconforto per la rottura, scoprirne dentro uno del tutto nuovo, inaspettato?

Un gioco nel gioco che avevi potuto scoprire solamente grazie a quell’incidente.

Infatti, riflettendoci bene, senza quella casualità, quell’apparente inconveniente, quello che avevamo sarebbe rimasto forse un bel gioco che, a lungo andare magari, poteva arrivare ad annoiare…
Invece, grazie a quello che in apparenza potremmo definire “un incidente”, è accaduto dell’altro: si è rivelata una occasione di scoperta. Abbiamo imparato delle cose…

Non un oggetto rotto quindi, come si potrebbe credere, piuttosto diverso, differente. Nuovo.
Certo è che il gioco che avevamo prima non esisterà più, è stato sostituito con dell’altro.
Una nuova versione del gioco stesso.
Né meglio, né peggio: un gioco nuovo!

Qualcosa si era rinnovato grazie alla rottura. Il gioco non è stato per nulla resiliente.
E senza la sua incapacità di essere resiliente, io non avrei mai potuto scoprire un nuovo gioco.

Il termine Resilienza infatti, deve i suoi natali al mondo della metallurgica e si applica quando un metallo ha la capacità di resistere alle forze applicate.

Se alla caduta, come accade a una palla, avessi avuto di rimando la palla integra, intonsa, sarebbe rimasta solamente una palla.
Nessuna scoperta. Nessun valore aggiunto. 

Nella storia, come nei racconti per ragazzi in cui si parla di super eroi, il concetto di resilienza è del tutto escluso.
Se D’Annunzio fosse stato resiliente forse, non avremmo avuto tre quarti delle sue poesie, e neppure il Vittoriale (da lui definita come la casa degli italiani). Se l’acqua fosse resiliente non diverrebbe ghiaccio, o vapore. Se Peter Parker fosse stato resiliente, non avremmo avuto l’Uomo Ragno!

Se mi adatto non vinco niente. Sopravvivo. Se mi adatto e incasso il colpo senza subire un mutamento da quel trauma, quel dolore, sono resiliente. Come il metallo con questa caratteristica non subirò trasformazioni.

Tuttavia è grazie alle cicatrici che rimangono sulla mia pelle che ricordo cosa ho imparato.
Se ci solleviamo un calzone, caro Viandante,  potremmo scoprire la mappa vivente dell’anti-resilienza: le cicatrici ci raccontano di molte avventure in cui abbiamo imparato grazie alla caduta.

Il nostro corpo è tutt’altro che resiliente! 

Definirei questa capacità di imparare dai propri errori, questo talento del corpo ad aggiustarsi e diventare altro, diverso, nuovo, erudito alla caduta, come divergenza, più che resilienza.

Nella divergenza vado fuori dalle linee guida di ciò che prima sapevo, ero. Divento di più. 

Con la caduta divento divergente, vado altrove rispetto al cammino che stavo facendo.
Cambio direzione. imparo. cresco. mi evolvo.
Se fossi resiliente, sarei come una tela cerata sulla quale nessuna goccia d’acqua lascia memoria di sé.
Se fossi resiliente sarei come un antibatterico in cui nessun microbo può raccontarsi.
Sarei un tessuto antimacchia, dove il buon vino non rammenta con il suo tannino, la condivisione di quella speciale sera in cui è caduto.

Caro Viandante, esci dal coro: osa essere divergente!

W la divergenza, caro viandante!
La resilienza lasciamola ai metalli nelle industrie.

Che buon pro ti faccia.

Monia