DIVINA COMMEDIA

PICCARDA E LA FEDELTA’ A SE STESSI

La giovane Piccarda Donati, nel canto III del Paradiso,  rappresenta  l’importanza della fedeltà che tu devi a te stesso, non  puoi tradirti,

non puoi  infischiartene della tua missione. Sennò non vale neanche la pena di         vivere, non credi? (però condendo il tutto con un po’ di ironia e leggerezza…),

se non dici di sì alle corde più profonde della tua anima, quelle che suonano la tua musica più autentica. Piccarda, sposa di Gesù ma smonacata e sposata a forza per motivi di opportunità politica, merita per questo di essere beata nel cielo della Luna, il più basso del Paradiso dantesco.

Ma come…ti viene da dire, è stata costretta, come avrebbe potuto fare altrimenti, una donna sola a quel tempo, non aveva alternativa, perché “punirla” , per così dire, nel cielo inferiore e non premiarla invece perché in cuor suo era rimasta fedele alla sua vocazione?


Perché sembra non bastare. E Dante la mette qui, a fare la “lunatica”, la volubile, l’incostante…

Cosa vuol dire?

Che una decisione tu la prendi sempre, anche quando non credi, anche se ti sembra di non avere possibilità di scelta…il libero arbitrio, il grande dono di Dio, mai ti viene tolto, aldilà di ogni apparenza.

A dimostrazione che devi sempre  attribuire a te stesso la piena responsabilità della tua vita e di ciò che ti accade. Non esistono costrizioni e condizionamenti che, in ultima analisi, non provengano dal profondo di noi stessi.

I VIVI E I MORTI

Dante scrive per i vivi, andando tra i morti.

Questi ultimi hanno evidentemente ancora qualcosa da dirci, il rapporto non è interrotto.

Secondo me è importante, Dante sa che anche loro, come noi, devono evolvere.

L’amore deve vincere sempre, riunendo antichi affetti. Come nel v.145 del Purgatorio, nel canto di Manfredi: chè qui per quei di là molto s’avanza, concetto ribadito anche nel canto di Cacciaguida (Paradiso XV, 95-96). Le preghiere dei vivi servono ai morti, la forza dell’amore che lega le pagine dell’universo non può conoscere fine, nel senso che noi comunemente diamo al termine.

di Chiara Pesavento

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