Possiedo solo ciò che ho donato
Sentirsi riconosciuti nel offrire le proprie opere, non solo ci permette di pagare l’obolo alla natura per le risorse che ognuno di noi consuma, ma contribuisce a riconoscerci come esseri. Tutti noi abbiamo bisogno di sentirci persone di contributo, perché solamente in questo modo possiamo sentirci d’esistere.
Permettersi di darsi
Spesso però potrebbe accadere che dei programmi tossici ed intossicanti che ci siamo lasciati installare da piccoli, potrebbero farci credere di non avere nulla da poter dare. Oppure potrebbe accadere di sentirsi dei reietti, incompresi, e quindi che ciò che avremmo da dare, potrebbe non essere capito dagli altri. Viviamo in questo caso con la credenza che infondo il mondo non si meriti il nostro talento, che infondo è meglio tenersi tutto per sé.
Mantenere fede alla nostra verità
La frustrazione aumenta così in modalità esponenziale e ci raggiunge, mentre la gioia si allontana sempre più da noi, e con essa, la nostra verità interiore. Ogni qualvolta infatti tradiamo la nostra verità mentendo inesorabilmente a noi stessi, feriamo il nostro bambino interiore che ad un certo punto potrebbe decidere di non voler più giocare con noi. Con il bambino interiore ferito si sa, non si fa molta strada. Ogni qualvolta potremmo utilizzare le nostre conoscenze per aiutare qualcuno, fornire un contributo, dare sostegno, trovare nuove soluzioni, il bambino interiore puntando i piedi potrebbe finire per farci credere che a nessuno interesserà cosa abbiamo da dire, oppure essere nella convinzione di venire giudicati, o peggio, che il mondo è troppo brutto e cattivo per meritarsi il nostro contributo. Lenti distorte che non ci permetteranno di avvicinare la gioia, ne andare ad alimentare quella famosa massa critica che aiuterà l’evoluzione collettiva. Perché la società riconosca un talento è necessario non soltanto che ognuno di noi riconosca il proprio, ma che ci troviamo nel desiderio autentico di volerlo condividere, e in questo, lo onoreremo nel modo a noi più funzionale.
Desiderare la libertà
Se ognuno di noi lavorasse sui propri programmi disfunzionali, improvvisamente diminuirebbero le patologie, e accrescerebbe la gioia. Se ognuno di noi desiderasse lavorare su di se, il sistema stesso funzionerebbe in modo migliore.
La lamentela uccide la gioia
Lamentarsi che la società non accoglie i nostri slanci di miglioramento, sarà quindi non soltanto inutile, in quanto non aumenterà di certo il livello di attenzione verso le risorse umane, ma anche profondamente poco funzionale, perché demotivante persino per noi stessi.
Uscire dall’eco
Tutto questo sistema a domino proviene da lontano e influenza da così tanto vicino le nostre vite … programmi fatti di “non vali abbastanza”, “la verità è che non ti amano davvero”, piuttosto che “ci sarà sempre qualcuno migliore di te”… sembra un vicolo cieco! Non se ne esce! A certi livelli di tossicità interrompere il programma non è certo facile. Tuttavia si può partire da piccoli passi, laddove ci sentiamo d’osare, per trovarsi, guardando indietro, ad aver fatto chilometri verso la libertà. Tutto parte comunque dall’accorgersi di ciò che non ci conduce alla gioia.
Come sapere quando ne siamo usciti
Ci siamo emancipati davvero da un programma, e quindi è da ritenersi veramente disinstallato, caro viandante, quando riconosciamo che, con lo stesso evento, tempi addietro ci saremmo comportati in modo diverso.
A questo punto possiamo anche sorridere, mentre ci godiamo i risultati di ciò che potremmo attrarre nella nostra nuova dimensione, dimensione gioia!
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