Caro viandante, in questa estate infuocata che tocca picchi mai visti prima dal 1821, eccetto un assaggio nel 2003, voglio renderti partecipe della mia esperienza che mi ha portato enorme consapevolezza, comprensione e soprattutto guarigione.
Dopo anni in cui ho lasciato vincere l’ego, trascurando un trauma avuto una quindicina d’anni fa, cioè una gran botta al naso che mi deviò il setto, prendo il coraggio a quattro mani e… decido di agire! La deviazione al setto e la calcificazione dovuta al trauma, nel tempo, arrivano a ostruire una narice, creando continue riniti, vestiboliti, otiti ecc. inoltre sembra influire sull’aumento della perdita di vista.
Temevo l’operazione, poiché avevo sentito dire che la ripresa era lenta e l’intervento piuttosto invasivo. Inoltre viene effettuata l’anestesia totale. Il fatto di rimanere un’ora incosciente, perdere i sensi, “andare via dal mio tempio” perdendo il controllo del “mio castello”, mi turbava parecchio. Come spesso accade per chi è su un percorso evolutivo, quando compi il primo passo verso l’ostacolo, a patto sia nella sincerità,il Cosmo collabora affinché il tuo cammino avvenga in armonia. E così è stato.
Mi trovavo alla visita chirurgica, avevo appena terminato di dialogare con il medico sui dettagli dell’intervento, e l’assistente mi disse di passare per l’ufficio poiché c’era una persona che voleva vedermi. Con mia grande sorpresa si trattava di un mio amico anestesista che aveva deciso di collaborare proprio con la clinica presso la quale avrei fatto il mio intervento! Fantastico! L’ho visto subito come un segno! Il 2 luglio quindi, inizio la mia esperienza, di cui qui riporto un per me prezioso diario.
Notte prima dell’intervento: dove sono io?
Ho dormito bene stanotte, non avrei creduto. Mi spinge una strana forza che non chiamerei proprio “coraggio”, un misto tra inconsapevolezza del dolore e una buona soglia di determinazione a volercela fare. Come quando ero al termine della gravidanza e sapevo che la bambina da qualche parte doveva uscire. Strane forze miste alla disperazione e all’emozione si mettono in moto in casi simili.
Ore 7.00. Arrivo in clinica. Scartoffie varie di prassi da compilare per la privacy. Foto al viso su quello che lo stesso chirurgo denomina “il muro del pianto”. Segnature della zona da operare con pennarello blu.
Ore 8.00. Saluto Andrea, il mio compagno, ed entro nell’ascensore con Matteo, l’anestesista, e con l’otorino. Cerco di valutare la serenità dei medici e si fa spazio la mia domanda: “Tutto bene dottore? Il suo cuore è sereno? Ha dormito bene?” risposta sibillina: “In pace!”
La strumentista mi accompagna in una stanza, mi fa spogliare, indossare un camice aperto sul dietro, una cuffia con cui sigilla i capelli con il cerotto. Gaetano, l’infermiere, mi preleva e mi accompagna in sala operatoria. Senza perdere un secondo mi si fa stendere su di un lettino sagomato, molto stretto, al braccio destro mi si applica il misuratore di pressione, al sinistro l’ago per la flebo: inizio a sentire il mio battito in stereofonia! Contemporaneamente mi si applica sulla gamba una placca in metallo. Matteo mi dice: “Ti girerà un po’ la testa, è l’effetto iniziale dell’anestesia”. Game over!
Una voce dal nulla mi dice: “Monia, apri gli occhi!” Vedo Andrea sulla mia destra che mi chiede se va tutto bene, segretamente (neanche tanto) sconvolto. Non so che faccia ho, non so come davvero mi sento, non ha importanza, sono altre le sensazioni: la coscienza è sempre stata qui, non me ne sono mai andata via, il mio ego è andato. Realizzo solo dopo ore il suo arrivo. Incredibile! L’io, Monia, non aveva alcuna importanza. Importava solamente l’esistenza stessa. La mia mente era debole, ero tutta coscienza espansa. Potenza!
03.07.2015 Tutto passa
Carità per questo povero corpo! Tutto è faticoso: respirare, parlare, deglutire il sangue che arriva a fiotti, mangiare e tutto questo attraverso lo stesso canale, che duole, grattato dal tubo servito per la respirazione. Mi fanno male i denti, la cervicale costretta a una posizione poco naturale per ore.
Penso ai medici e alle loro mani che hanno lavorato sul mio tempio (divenuto improvvisamente un fagotto scomodo e malconcio), rompendo, tagliando, cucendo… Penso agli infermieri, al loro lavoro prima, durante e dopo. Penso ai miei polmoni tenuti in movimento dal respiratore, a Matteo e alla mia vita in questo corpo resa improvvisamente dipendente dalle sue “alchimie d’anestesista”. All’amorevolezza del chirurgo che mi carezza la guancia durante un controllo, al sorriso sornione dell’otorino. Penso alle loro storie, alle loro vite, trascorse così, ogni giorno, con in mano la vita e il benessere o meno delle persone. Grata, molto grata a tutti!
Mia figlia mi viene a fare visita, le viene un attacco d’ansia a vedermi così. Vuole rimanere dalla nonna. Povera! Io mi guardo allo specchio quando vado al bagno. So che sono io, anche se non mi riconosco. Ciò che più mi impressiona sono gli occhi, che mi osservano pietosi, dietro al velo del dolore. Assenti a loro stessi, come a me.
Andrea è confuso, mi ha vista entrare in un modo e uscire in quest’altro: occhi gonfi e spenti, occhiaie viola gonfie, viso tumefatto, tutta un tampone! Passerà! La cosa buona del dolore è proprio questa.
04.07.2015 Gara d’amore
Non sono preoccupata per il mio aspetto, sento che è stato fatto un buon lavoro al di là di ciò che ora si vede.
Ore 8.00. Mi tolgono i tamponi. Una esperienza: sembra che tutto il contenuto del cervello sgusci via dai fori del naso. Mi ricorda certi interventi degli imbalsamatori egizi. I miei genitori, la mia famiglia si stringe intorno a me e mi fa sentire tutto il loro amore. Mia madre mi regala un anello con una perla. Senz’altro un simbolo di come dal dolore possa nascere qualcosa di bellissimo.
Non sono molte le persone a sapere dell’intervento, ho preferito così. Quando mi sento bene riesco anche a postare sui social, nessuno si è accorto di nulla. Le due classi di futuri motivatori Human Project della nostra accademia mi scrivono ogni giorno. È come se l’energia di amore nel servizio di tutte le persone di cui mi sono presa cura in tanti anni arrivasse tutta in un colpo, anche da persone differenti da quelle aiutate, con gesti diversi. Il bene del mondo mi travolge e io mi lascio permeare. Una gara d’amore è in corso.
05.07.2015 Respiro
Mi sveglio per le consuete medicazioni. Sono a casa, nel mio bagno, per qualche minuto sento gli odori: la pipì del mio cane espletata sul tappetino assorbente durante la notte, acre, forte, pungente. Inizio ad annusare qua e là, felice: voglio urlare di gioia! … Gioia e tripudio durano poco, perché il naso è nuovamente tappato, ma mi è bastato a sentire che c’è l’alba là fuori, e mi sta aspettando!
06.07 Come trasformare il dolore in benessere
Da questo giorno in avanti è stata tutta una consapevolezza in crescita, in cui respiravo il dolore del mondo e usciva il benessere. Mi chiama Lara, la mia amica coordinatrice dei centri tibetani e mi rende consapevole che questa tecnica esiste! Si chiama Tong-Len!
La pratica del Tong-Len significa “dare e ricevere”, ed è una tecnica meditativa di enorme utilità e consapevolezza, che oltre a fare del bene, fa bene e sviluppa il senso di compassione.
Si tratta, in buona sostanza, di prendere su di sé il dolore (sia fisico sia mentale) di una persona, del mondo, di un particolare evento e trasformarlo in gioia, possibilità, guarigione, amore… dall’effetto immediato (garantisco!); distrugge gli attaccamenti che l’io conserva volentieri come cimeli preziosi e anche stantii.
Sono proprio l’ego e gli attaccamenti la causa di tutta la sofferenza umana, dei disastri e della chiusura delle menti collettive, causa dei mali che vediamo. Coltivare la compassione produce bene-volenza: amore verso gli altri. Così, nei picchi di dolore massimo, inspiravo i mali del mondo ed espiravo bene-volenza. E il mio dolore acquisiva un nuovo significato, si innalzava, si rendeva sacro (sacrificio), e diventava puro. Passava tramutandosi.
Questa pratica, oltre che preziosa per innalzare la consapevolezza collettiva e trasmutare il male del mondo in possibilità bene-vola, è anche molto potente per provare benessere. Inoltre sono innumerevoli i meriti che si possono accumulare come effetto collaterale. Si tratta di una vera e propria benedizione e si producono guarigioni. In tal modo viene bene-detto il gesto e si trasmuta rapidissimo in bene-volenza collettiva.
Om tat sat allora! Ossia che il dolore serva a diventare consapevoli, che non sia inutile, o fine a se stesso. Om Tat Sat viandante! Om Tat Sat.
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